Il pellegrino lombardo, Per una nuova cucina siciliana, C. Passera, magazine n.8
È capitato tempo fa: gara tra giovani cuochi emergenti. Io ad assistere, mi si avvicina un famoso chef, addentiamo il medesimo assaggio: brutto da vedere, un po’ sgraziato nella realizzazione, però piuttosto goloso: «Diciamo la verità: con queste materie prime eccezionali, è impossibile fare piatti davvero cattivi», mi sussurra maligna la toque all’orecchio. Eravamo in Puglia, ma il medesimo episodio si sarebbe potuto registrare ovunque, al Sud. Anche in Sicilia.
Uno dice: è una fortuna poter disporre di un patrimonio agroalimentare così eccezionale. Vero, verissimo, ma basta questo per fare alta cucina? Certo siamo in Italia, dove il prodotto è principe. Sottolineava Massimo Bottura: «Quali sono le maggiori tradizioni culinarie del mondo? Io dico la francese, la cinese, la giapponese, l’italiana». Poi le accoppiava: «Le prime due puntano sulla tecnica, sulla trasformazione del prodotto in cucina. Le altre invece – ossia la nostra e la nipponica – hanno sviluppato un’altra mentalità, un altro atteggiamento: noi e loro abbiamo l’ossessione dell’ingrediente. C’è anche la tecnica, certo: ma questa viene sempre vista come al servizio della materia prima. In questo senso, lo chef rimane quasi defilato, in secondo piano».
Quindi è come se l’Italia in generale, ma il Meridione in particolare, in una gara sui 100 metri, partisse 30 più avanti degli altri, grazie alle delizie della natura che può vantare. Basta per vincere? Aiuta molto: ma poi bisogna sprintare comunque; se si corricchia distratti godendosi il vantaggio iniziale, si finisce giù dal podio.
È quello che è successo anche all’alta cucina siciliana. Che, intendiamoci, ha grandi maestri, fantastici interpreti: ma è possibile che un’isola dal potenziale così pazzesco non abbia mai annoverato, per dire, un proprio tre stelle? Incrociamo le dita per chi è a un passo: Ciccio Sultano, Pino Cuttaia, Vincenzo Candiano, Massimo Mantarro già sono a un’incollatura dal massimo trofeo. Nel medesimo tempo, è indispensabile puntare anche sulla successiva generazione di chef, che è numerosa e agguerrita come mai in passato. La domanda dunque è: come può una tavola siciliana moderna affermare con forza la propria identità specifica, all’interno di quel grande contenitore di storia (anche) prelibata che è il Mediterraneo? (A proposito ottima l’iniziativa di Cuttaia di raccontare tutto questo con la sua nuova kermesse, Cookin’ Med).
Partire dal prodotto, certo. Ma poi lavorare molto sulla complessità, l’equilibrio: perché troppo spesso la forza straordinaria della materia prima di Trinacria fa aggio su tutto il resto. Alta cucina è innanzi tutto armonia, mentre certe interpretazioni muscolari del sapore, certe sferzate al palato, risultano oggi e risulteranno sempre gradevoli, probabilmente applaudite anche dal turista, ma non consentiranno mai di conseguire il definitivo salto di qualità, quello in grado di consacrare una somma scuola locale: fatto che sarebbe straordinario di per sé, ma ancor più perché, come sempre accade, questa sarebbe/sarà in grado di trainare tutto il comparto, di stimolare una clonazione fertile, di diffondere uno stile contemporaneo tanto poderoso da diventare la strada del futuro. Il faro che illumina tutto e tutti, non solo l’eccellenza destinata a pochi.
Per ottenere tutto questo è indispensabile il confronto, capace di sprovincializzare. E davvero la new wave di chef isolani tanto ha girato l’Italia e il mondo, tanto ha appreso: ed è in grado di riportare in Sicilia tali conoscenze, non per copiarne il modello, ma per elaborarne uno proprio, originale, più consapevole. È anche importante che un grandissimo come il friulano Andrea Berton si stia prestando, col suo nuovo indirizzo a Cefalù, a fornire la propria personale interpretazione della cucina sicula.
Dunque: non sentitevi spossessati da iniziative come questa, guardatele anzi con favore: perché rappresentano un ulteriore apporto, in questo caso esterno – dunque filtrato da mentalità diverse; e non c’è come guardare la realtà con altri occhiali, per accorgersi di sfumature che passavano inosservate – all’elaborazione di una vostra grande Nuova Cucina Siciliana, figlia della tradizione, imperniata sul prodotto, proiettata verso il mondo. Il momento è ora.
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